L’arsura dell’estate
Autore
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Libro
Il nuovo Latina Lectio
La versione inizia con:
Cum canicula maxime saevit, glebae terrae…
La versione termina con:
…neque mane roscidis guttis levantur
Traduzione
Quando la canicola infuria al massimo, le zolle di terra si seccano, le sorgenti non sono alimentate da alcuna pioggia, i canali delle acque non sgorgano dalla terra e le rive non sono rivestite di erba.
Allora anche gli animali selvatici evitano le ore del meriggio1 e si nascondono in grotte ombrose e ansimano; nelle foreste tutti gli uccellini abbassano le ali e stanno in silenzio.
Solo le cicale si rallegrano per il caldo; dai tigli ramosi stridono continuamente e stordiscono le orecchie dei contadini.
Né i contadini né i poeti amano le cicale; i poeti infatti dicono che le cicale sono fastidiose e lamentose.
Anche alle lucenti lucertole la canicola è gradita e benaccetta; le lucertole infatti odiano l’umida ombra delle grotte e delle foreste e le fresche erbe sulle rive delle sorgenti e si riposano placidamente sulle rocce roventi.
I contadini interrompono le attività quotidiane e attendono le ore serali; infatti, di sera l’aria fresca (letteralmente freschetta) mitiga l’intensità della canicola.
I contadini desiderano invano la pioggia e invocano gli dei (letteralmente gli abitanti del cielo); sperano (che arrivino) periodi nuvolosi; le zolle e le vigne bruciano per la canicola esattamente come per il fuoco e non sono alleviate al mattino dalle gocce di rugiada.
1 Cioè mezzogiorno, il momento più caldo della giornata.