Il demone Zálmoxis
Autore
Erodoto
Libro
γραφίς
La versione inizia con:
Ἀθανατίζουσι οἱ Γέται τόνδε τὸν τρόπον…
La versione termina con:
…νομίζοντες εἶναι εἰ μὴ τὸν σφέτερον
Traduzione
I Geti si considerano immortali in questo modo: credono di non morire e che chi muore vada dal dio Zalmoxis; altri di loro lo chiamano (letteralmente chiamano questo stesso) Gebeleizi.
Ogni cinque anni mandano da Zalmoxis un messaggero, designato sempre per sorteggio tra loro stessi, dandogli istruzioni sulle cose di cui di volta in volta hanno bisogno.
Lo mandano in questo modo: alcuni di loro, che sono stati incaricati (di ciò), prendono tre giavellotti, mentre altri, avendo afferrato le mani e i piedi di quello che viene mandato da Zalmoxis, dopo averlo fatto ondeggiare a mezz’aria, lo gettano sui giavellotti.
Se muore, una volta che è stato trafitto, ritengono che il dio sia propizio (letteralmente a questi il dio sembra essere propizio); se invece non muore, accusano il messaggero stesso, dicendo che è un uomo malvagio, (e poi), dopo avere accusato questo, ne mandano un altro.
Mentre è ancora vivo, gli comunicano le istruzioni.
Questi stessi Traci di fronte sia a un tuono sia a un fulmine minacciano il dio, dopo avere scagliato frecce in alto verso il cielo, poiché ritengono che non ci sia alcun dio, se non il loro1.
1 Il senso di questa frase è che i Geti (un popolo stanziato in Tracia) non credevano che dietro ai tuoni e ai fulmini ci fosse qualche divinità, perché secondo loro l’unico dio esistente era Zalmoxis.