Paride, giudice indeciso
Autore
Luciano
Libro
γραφίς
La versione inizia con:
Πῶς ἂν οὖν, ὦ δέσποτα Ἑρμῆ, δυνηθείην…
La versione termina con:
…πάσαις ἀποδοὺς τὸ μῆλον
Traduzione
Come dunque, Ermes signore, potrei io, che sono mortale e rozzo, diventare giudice di una visione straordinaria e più grande di quanto (possa essere) per un bovaro?
Infatti, giudicare queste cose è tipico piuttosto dei raffinati e dei cittadini; per parte mia, potrei distinguere in fretta con abilità una capra da una capra, (stabilendo) quale delle due sia più bella, e una giovenca da un’altra giovenca; queste invece sono tutte belle allo stesso modo e non so come uno potrebbe spostare lo sguardo da una all’altra, dopo averlo staccato; (lo sguardo) infatti non vuole allontanarsi facilmente, ma, dove si è posato in un primo momento, lì si ferma e loda ciò che c’è (letteralmente il presente); anche qualora passi ad altro, trova (letteralmente vede) bello anche quello e resta lì ed è catturato dalle cose (che gli stanno) vicino.
E insomma la loro bellezza si è diffusa intorno a me e mi ha preso tutto e soffro, perché non posso vedere con tutto il corpo, come Argo1.
Mi sembra di giudicare bene, dando a tutte la mela.
1 Nella mitologia greca Argo era un gigante provvisto di cento occhi.