Ultime tristi vicissitudini di Gaio Mario
Autore
Velleio Patercolo
Libro
Il nuovo Latina Lectio
La versione inizia con:
Tum Sulla, contracto exercitu, ad Urbem rediit…
La versione termina con:
…in tugurio ruinarum Carthaginiensium toleravit
Traduzione
Silla allora, radunato l’esercito, tornò a Roma e la occupò con le armi, scacciò da Roma Mario con il figlio e con Publio Sulpicio e, presentata una legge, li rese esuli.
Mario, dopo il sesto consolato, a settant’anni, nudo e coperto di fango, essendo visibili soltanto gli occhi e le narici, tirato fuori da un canneto presso la palude di Marica, in cui si era nascosto fuggendo dai cavalieri di Silla che lo inseguivano, messa una cinghia al collo, fu condotto nel carcere degli abitanti di Minturno per ordine di un duumviro.
Il servo pubblico che fu mandato a ucciderlo con una spada, germanico d’origine, che per caso era stato catturato da quel comandante1 durante la guerra cimbrica, appena riconobbe Mario, manifestando con un gran lamento l’indignazione per la rovina di un uomo tanto importante, gettata via la spada, fuggì dal carcere.
Allora i cittadini, che impararono dal nemico a provare compassione, lo fecero salire su una nave, dopo che fu provvisto del necessario per il viaggio e dopo che (gli) fu consegnata una veste.
Ma quello, dopo avere raggiunto il figlio presso Enaria, fece rotta (letteralmente diresse il corso) verso l’Africa e sopportò una vita povera in un tugurio delle rovine cartaginesi.
1 Cioè Mario.